martedì 22 marzo 2011

ARCHITETTURA & PERFORMANCE_CATERINA TIAZZOLDI

Lunedì 21 marzo, per il quinto incontro organizzato dal Gruppo Giovani Architetti di Varese, il tema scelto è stato il rapporto tra Architettura e Performance. Relatrice della serata, l’Architetto Caterina Tiazzoldi, il cui lavoro è caratterizzato da una forte interazione tra la ricerca sviluppata in ambito accademico presso il Politecnico di Torino e la Columbia University, dove dirige il Laboratorio di Ricerca Non Linear Solution Unit, e la pratica professionale.
In un’ora esatta Caterina ha raccontato, con qualche tocco di umorismo, il suo metodo lavorativo che, ispirandosi alle scienze della complessità, si fonda sullo sviluppo di concept spaziali pensati per rispondere alle rapide trasformazioni della città contemporanea.
Il suo approccio, caratterizzato da una forte impronta digitale, permette di avvicinare la progettazione a varie scale e a diverse prospettive: dall’interior design alla progettazione urbana, dagli spazi di lavoro a quelli di residenza, dalla coreografia al design acustico.
Per analizzare qualsiasi problema, Caterina lo scompone, individuando tutti gli elementi e le proprietà che lo costituiscono per poi servirsi delle caratteristiche che più le interessano per ricomporre il tutto in maniera a lei più funzionale.
In sostanza, è come se lavorasse con una lente caleidoscopica, che scompone ogni oggetto in tante piccole parti. “Manipolando le proprietà di un oggetto”, spiega Caterina, “si ottiene una popolazione di oggetti diversi”. Per approfondire questo aspetto, Caterina ha mostrato una serie di lavori da lei realizzati.
Per la Biennale Experimenta Design di Lisbona, per esempio, ha utilizzato due materiali, il feltro e il sughero, per i quali ha cercato di individuare, dopo aver studiato tutte le loro proprietà, quelle a lei più congeniali per realizzare delle opere.
E così, per il feltro ha lavorato sulla densità e sulla sofficità, ricavando una sorta di divano creato con “fette di feltro” accostate l’una all’altra.
Per il sughero, invece, ha lavorato sulla flessibilità, realizzando delle grandi opere, "Onion Pinch", a forma di cipolle (disposte in una stazione della metropolitana) costituite da una striscia di sughero unita in alto da un grande chiodo: su ogni “cipolla di sughero” il chiodo era disposto ad un’ altezza diversa rispetto alle altre per creare differenti livelli di flessibilità.
Un altro lavoro che Caterina ha descritto, consiste nella creazione di una toolbox a Torino, un ambiente di lavoro con aree di co-working e uffici privati per ricevere i clienti.
Per effettuare tale progetto, l’architetto ha provato ad immedesimarsi nei free lance che avrebbero lavorato lì, riflettendo così su cosa avrebbero voluto trovare in questo spazio professionale.
Il risultato di questo approccio è stato l’utilizzo di materiali diversi a seconda delle esigenze dei lavoratori, lo studio dei livelli di privacy e dei livelli di intensità di lavoro. Inoltre, l’ambiente è stato arricchito da pareti decorate con la logica del low budjet, quindi utilizzando materiali economici o scarti di produzioni industriali.
Una di queste pareti, realizzata con cubetti di polistirolo è un progetto che Caterina racconta di amare particolarmente: già utilizzata da lei come allestimento di alcuni negozi per cui lavorava, è stata riadattata per fungere da bar smontabile della Illy, e come installazione per il cinquantenario del Salone del Mobile di Milano. L’installazione è basata su un modulo, il cubo, che si ripete, modificandosi continuamente e riadattandosi a seconda delle esigenze.
Da un singolo elemento, dunque, se ne possono creare moltissimi, da un unico schema, soluzioni percettive diverse: infatti, come ha affermato Caterina, la modulazione parametrica o analogica delle proprietà fisiche dello spazio crea una spazialità e dei tipi di interazione inediti, capaci di riconfigurarsi in base alle necessità del luogo e degli utenti.

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