mercoledì 22 dicembre 2010

"ARCHITETTURA & TRIVELLAZIONI"

Più che una conferenza frontale, la serata organizzata dal Gruppo Giovani Architetti, lunedì 20 dicembre, si è configurata come un dialogo, una sorta di conversazione tra l’artista Francesco Cucci e la critica d’arte Erika La Rosa, conversazione a cui si sono aggiunti, a fine serata, alcuni componenti del pubblico, intervenuti con domande rivolte all’artista. L’artista, commosso per l’invito e la stima a riconoscimento del suo operato come insegnante, esordisce ringraziando i suoi ex alunni oggi architetti, professionisti di quest’Ordine.
A chiarire il titolo della serata “Architettura & trivellazioni”, è stato lo stesso artista. Per “Trivellazione” egli intende l’operazione preliminare che si compie sondando un terreno per verificarne l’adeguatezza con il progetto edificatorio. La Dottoressa Erika La Rosa, con una carrellata di immagini, illustra le opere dell’artista, "lavori che sfuggono a qualsiasi definizione, ma che rappresentano sempre al meglio la sua poetica". Tra questi, Erika La Rosa mostra le opere outside, in esterno ( tra cui quelle realizzate al Palazzo della Triennale, al Castello Sforzesco, alla Badia di Ganna), le opere inside (come quelle create nella sala affreschi dell’Umanitaria, Milano e al Teatro Rivoli di Mazzara del Vallo), le sculture, costituite da geometrie e piani che si intersecano, da elementi che possono essere visti nell’insieme o singolarmente, le ceramiche, le opere pittoriche, i lavori di design e quelli grafici. I più diversi media vengono utilizzati dall’artista, tutti basati su una ricerca che riguarda lo spazio, più precisamente, lo spazio vuoto. “Il vuoto è un elemento vivo, non è un limite ma un’opportunità”, spiega Cucci. “Il mio ruolo”, afferma, è di “organizzare lo spazio, ovvero di strutturarlo, organizzarlo dal punto di vista storico e geografico”. "In questo senso, forte è il legame tra l’arte e l’architettura" spiega Cucci, “l’operazione dell’artista e dell’architetto coincidono nel modo di appropriarsi dello spazio, entrambi lo strutturano, lo controllano; oggi, l’uso non stereotipato delle forme, svincolato dalla retorica e libero dai vecchi riferimenti cartesiani, apre nuovi orizzonti in cui tutte le esperienze artistiche si incontrano”.
“Le opere di Francesco, nel rispetto di un’organizzazione geo/metrica, sembrano svilupparsi all’infinito” afferma Erika La Rosa.
Un artista multiforme ed innovatore che, da attento ricercatore, persegue ed elabora un approfondito percorso storico/culturale.
“Noi artisti siamo solo filtri, sismografi sensibili all’evoluzione dell’uomo e del suo pensiero. L’architettura non è estranea a tale operazione/processo” dice Cucci.
Per lui tutti i materiali sono solo mezzi espressivi. Ne fa un uso indifferenziato dall’arcaico legno grezzo alle umili terre, dalle tempere agli acrilici, dai cartoni alle argille cotte, dai pannelli di plastica alle lampade al neon.
Nelle sue installazioni Cucci fa entrare ed attraversare fisicamente le sue opere, stabilendo un rapporto dialettico spaziale di appercezione. Con l’utilizzo del neon costruisce spazi e prospettive di luce.
Erika La Rosa evidenzia gli elementi fondamentali della ricerca di Cucci: “la geometria, intesa nell’accezione arcaica, quale invenzione della mente umana creata per orientarsi, ha il compito di dare una forma ed una dimensione alla creatività”.
Le teorie decostruttiviste di Jaques Derrida, a cui attinge, sono gli elementi cardine del “vedere nuovo” il pensiero architettonico e non solo.
Affascinante dialogo Arte/Architettura, a trecentosessanta gradi, che ha coinvolto i presenti in un clima di calda partecipazione tra pubblico,artista e opere oltre ogni aspettativa.
Chi volesse visitare l’esposizione potrà, fino a fine Gennaio, recarsi presso la sede dell’Ordine Architetti di Varese, via Gradisca 4, negli orari di ufficio.

venerdì 10 dicembre 2010

"POSTCARDS FROM THE NETHERLANDS": COR GELUK, DAVID KEUNING

Con la conferenza di giovedì 9 dicembre si è concluso il ciclo di serate dedicate all’interscambio tra architettura olandese e architettura italiana. A chiudere l’iniziativa sono stati un editorialista, David Keuning e un paesaggista/urbanista Cor Geluk.
Durante il primo intervento, condotto da David Keuning è stato affrontato un argomento per così dire “trasversale”, su un canale di comunicazione che per l’architettura può essere un mezzo fondamentale. Si tratta della rivista “Mark”, edita dallo stesso Keuning. Nata nel 2005, la rivista tratta argomenti che riguardano tematiche di architettura e interior design. Nel corso di questi cinque anni, sulla rivista sono stati pubblicati anche 16 progetti italiani presentati da Keuning con una veloce carrellata di immagini. Tra questi progetti “solo due sono di architetti famosi -Zaha Hadid e Massimiliano Fuksas-" spiega il relatore "gli altri sono meno conosciuti, più di nicchia, ma per noi molto interessanti".
“In ogni caso”, continua Keuning, “siamo rimasti sorpresi dal fatto che in 5 anni siano stati pubblicati solo 16 progetti italiani”. Due le cause, secondo l’editore, di questa lacuna: da una parte, la mancanza, da parte degli editori, di fonti che potessero segnalare interventi architettonici interessanti in Italia e, dall’altra, la scarsa o poco efficace proposta, da parte degli italiani, delle proprie opere alla rivista.
Insomma, la responsabilità sia agli editori che agli architetti. Ma, per provare a migliorare la situazione, Keuning conclude il suo interevento proponendo alcuni punti fondamentali per comunicare al meglio al pubblico il proprio progetto: per prima cosa è necessario pensare a quale media sia meglio rivolgere il progetto (rivista locale, rivista specializzata..) e con che tipo di target confrontarsi; si deve poi procedere a mandare una relazione in stile chiaro, con dati importanti e fotografie di ottima qualità; è fondamentale non dare l’esclusività e non pretendere a tutti i costi di lanciare uno scoop e, infine, è necessario utilizzare tutti i media che si hanno a disposizione.
Dall’editoria all’urbanistica, la parola passa a Cor Geluk: il suo discorso si apre con un insolito elogio agli italiani, apprezzati dal relatore per aver trasmesso agli olandesi come poter vivere bene, godendo delle piccole gioie quotidiane. L’intervento vira poi su un argomento decisamente più serio, l’Olanda: paese costruito al di sotto del livello del mare, l’Olanda ha sempre costretto i suoi abitanti a doversi adattare alla sua conformazione territoriale, sviluppando in essi un grande senso dell’organizzazione e ispirando moltissimi artisti, tra cui Mondrian.
Dopo questa introduzione, Geluk procede illustrando alcuni sui progetti. Il primo riguarda la rivalutazione di una zona precedentemente utilizzata per esercitazioni militari: nel farlo, il suo team ha deciso di concentrare l’abitato in piccole zone del terreno e di creare parcheggi sotterranei con l’intento di lasciare la maggior parte dello spazio alla natura. Interessante in questo progetto, il coinvolgimento dei clienti: ogni futuro abitante, infatti, ha deciso, affiancato dagli architetti, come costruire la sua casa, con il solo vincolo di dover chiedere al proprio e futuro vicino di casa l’approvazione del progetto. “Con questa idea abbiamo fatto convergere i desideri delle persone nell’architettura”, spiega Geluk che illustra poi il progetto per un parco all’imbocco dell’autostrada che unisce Amsterdam a Parigi: “per realizzarlo, si è dovuto pensare a spostare l’autostrada sotto terra: è stata una sfida per noi, ma ci siamo riusciti”.
Infine, Geluk illustra l' ultimo progetto relativo alla sede della Philips a Eindhoven, costruito come una sorta di campus universitario, con spazi aperti, numerosi ambienti di incontro e un enorme parcheggio con facciate ricoperte di piante. “Un luogo con un’impronta socialmente interessante”conclude Geluk,” con aree che favoriscono l’incontro e che sono completamente circondate dalla natura”.
Ancora una volta, come in molti altri progetti illustrati nel corso delle cinque conferenze, la natura diventa parte integrante dell’architettura olandese, elemento peculiare che l’architetto, in Olanda, non può e non vuole ignorare. Lo scambio Italia-Olanda si è dunque concluso, ma il carico di stimoli che ha lasciato dietro di sé, il bagaglio di spunti da cui poter trarre nuove idee, non è di certo da sottovalutare, ma da sfruttare al meglio, tenendolo da conto, con cura, proprio come delle “cartoline dall’Olanda”.



Intervista a Cor Geluk e David Keuning


Per vedere il video della serata, vai al seguente link
http://www.youtube.com/user/Ordinevarese?feature=mhum

venerdì 3 dicembre 2010

"POSTCARDS FROM THE NETHERLANDS":GIUSEPPE SCAGLIONE, FILIP GEERTS


Nonostante la neve e i catastrofici bollettini meteo, il ciclo “Postcards from the Netherlands” all’Ordine Architetti di Varese è proseguito come da programma. Mercoledì 1 dicembre, Giuseppe Scaglione e Filip Geerts, direttamente da Trento e dall’Olanda, hanno condotto una serata dedicata ad una doppia panoramica, sulla situazione dell’architettura in Italia e sulla storia della pianificazione territoriale in Olanda.
Ad aprire la conferenza è stato Scaglione, impegnato dal 1985 in progetti che fanno riferimento alla relazione tra architettura e urbanistica. E proprio il confronto tra urbanistica e architettura ha segnato l’inizio dell’ intervento del Professore che, forse anche con tono provocatorio, ha affermato che, ultimamente, le cose più interessanti prodotte in Italia non provengono “da esegeti dell’architettura, ma da una costola dell’architettura che è l’urbanistica”. Se l’architettura è ancora molto legata alle “Beaux artes”, e quindi impegnata a studiare forma e composizione, ha spiegato Scaglione, l’urbanistica, dovendosi confrontare con temi crudeli come la trasformazione della città, è un vero e proprio work in progress.
E, a proposito di città trasformate, Scaglione ha mostrato ai presenti lo scempio delle periferie di alcune città italiane, attraverso le immagini di importanti fotografi contemporanei: le fotografie della periferia di Milano scattate da Gabriele Basilico, piuttosto che quelle di Armin Linke che immortalano Napoli, mostrano “episodi inquietanti del percorso italiano”, ad opera di architetti scriteriati che hanno lavorato senza pensare al futuro delle città, arrivando a devastare la loro identità. Di contro, Scaglione ha affermato come sia fondamentale, in un buon piano urbanistico, “tener conto di tutte le trasformazioni, individuando dei passaggi di continuità e contiguità”. La progettazione di qualsiasi elemento nella città, deve essere sensibile al contesto. In particolare, Scaglione prende in esame le infrastrutture, che troppo spesso hanno “ferito il paesaggio”, senza produrre alcun rapporto osmotico col territorio. A questo proposito, il Professore ha illustrato un progetto su cui sta lavorando, relativo alla trasformazione dell’ Autostrada A22. “Stiamo lavorando per cambiare la pelle di quest’autostrada”, spiega Scaglione e per farlo, “stiamo tenendo conto del ruolo che queste infrastrutture avranno in futuro”. Per prima cosa sono stati realizzati numerosi schemi per capire come l’autostrada si inserisce nel territorio, quindi si è pensato a progettare nuove piattaforme interattive che, oltre a tener conto di luoghi di riposo per gli autisti, hotel, ristoranti, prevedono parcheggi con a fianco mezzi pubblici, per entrare in città in modo più ecologico. Anche le barriere sono state pensate dal team di Scaglione con funzione fotovoltaica e come elementi di identificazione dell’autostrada, poiché serigrafati in modo particolare e i guard reil realizzati con un materiale naturale, il corten. Il progetto dell’Ausotrada A22 è un esempio, secondo Scaglione, di come dovrebbe essere un buon progetto, sensibile al paesaggio e al contesto e, soprattutto, comunicato in maniera adeguata, perché, come ha affermato il Professore, “è necessario far conoscere le buone esperienze, per esporsi e a volte, anche per mettersi in discussione”.
Dopo Scaglione, l’intervento di Filip Geerts si è delineato come una sorta di excursus sulla storia della pianificazione territoriale in Olanda, introdotta da una citazione tratta da “Diari di viaggio” di De Amicis (fine Ottocento) che ben riassume tutto il discorso. “Chi guarda per la prima volta una cartina dell’Olanda si meraviglia che un Paese così possa esistere: pare debba disgregarsi da un momento all’altro”. Il territorio olandese, tanto ostile alla presenza dell’uomo da far pensare che il nome Olanda possa derivare dal termine “hell”, inferno, è sempre stato, per architetti e urbanisti olandesi, un elemento da sfidare, da domare.
Per settecento anni gli olandesi hanno dovuto adattarsi e lottare contro il mare, con qualsiasi mezzo avessero a disposizione. E’ stata la particolare conformazione del territorio olandese a portare alla creazione di un altro concetto, quello di “Ramstad”, per cui la città, in Olanda, non è mai concepita come nucleo a se stante, ma è elemento integrante di un sistema di città collegate tra loro come una sorta di rete.
A livello urbanistico, esiste poi, in olandese, un vocabolo “Maakbaarhed”, che riassume il concetto di “costruire”, inteso sia come modo concreto di trasformare le idee in realtà, sia come concetto ideologico.
Nel suo excursus, Geerts si sofferma su due date storiche, il 1901 e il 1941, due momenti fondamentali per la storia della progettazione urbanistica olandese.
Nel 1901, anno in cui viene approvata la legge sul cohousing e viene realizzata la chiusura della Zuiderzee con una diga di 35 km nel mare, progettata da Plan Lely, architetti e urbanisti entrano in stretta relazione tra loro per riprogettare completamente il Paese.
E nel 1941, anno del bombardamento di Rotterdam e periodo di grandi distruzioni dovute alla guerra, l’Olanda viene obbligata a ripensare e riprogettare molte città. Tra queste, Rotterdam verrà ricostruita nel ‘44 per opera di Van Traa, e Amsterdam vedrà molti architetti, tra cui Lely, confrontarsi per trovare le soluzioni migliori.
La geografia, la conformazione territoriale e la storia dell’Olanda sono stati i fattori con cui, sempre, architetti e progettisti olandesi hanno dovuto fare i conti, arrivando a soluzioni estreme come i polder, e giungendo spesso a soluzioni che coniugano perfettamente la poiesis e la pragmaticità del piano, del “Maakbaarhed”.


Intervista a Giuseppe Scaglione


Intervista a Filip Geerts

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