venerdì 28 maggio 2010

Berlino, la sinfonia della grande città

Silenzio, parla la città
La rassegna cinematografica “Cinema & Architettura”, presso la sede dell’Ordine Architetti di Varese, è incominciata: per la prima serata (giovedì 27 maggio) gli organizzatori dell’iniziativa, gli architetti Emanuele Brazzelli e Sandro Rolla, hanno scelto, come primo film, un cimelio storico, una pellicola datata 1927. Si tratta di “Berlino, la sinfonia della grande città”, una sorta di opera d’arte totale che condensa le grandi passioni che alimentarono la ricerca del suo autore, Walther Ruttmann.

A introdurre e commentare il film, la Professoressa Annegret Burg di Berlino, plurilaureata in Architettura –all’Università di Dortmund con Josef Paul Kleihues e al Politecnico di Milano con Giorgio Grassi-, professoressa di “Storia dell’Architettura e della città” presso la Potsdam School of Architecture, grande studiosa e curatrice di numerose mostre sull’architettura in Germania e in Italia.
“Non si può comprendere a fondo il film di Ruttmann se prima non si conosce la sua storia”, afferma la Professoressa Burg, spiegando la carriera di Ruttmann, una carriera divisa tra musica, architettura, arte e cinema: a 12 anni già suonava il violoncello e da giovane lavorò come musicista nei bar; studiò architettura, ma non si laureò perché venne attirato dalla pittura; fece numerose mostre e vinse premi, ma si distaccò momentaneamente dalla pittura per dedicarsi al cinema, da lui considerato strumento ottimale per esprimere il movimento, la velocità.

E così produsse numerosi film, soprattutto astratti, poiché, secondo Ruttmann “il film astratto è musica della luce” e dal 1926 si dedicò alla realizzazione del suo capolavoro, il primo film della storia del cinema in cui la protagonista è la città.
"Come titolo scelse 'Berlino, la sinfonia della grande città' e non 'di una grande città'" specifica la Professoressa Annegret Burg: l’attenzione del regista non era focalizzata su Berlino in quanto tale, ma sulla città, sul suo movimento, sulla sua vita e i suoi tempi.
Ruttmann intendeva creare non un documentario, ma una pellicola cinematografica che concretizzasse il concetto di “gestaltung”, ovvero che desse forma ad un film vivente, ad una sorta di corpo dotato di tutti i suoi organi. E così gli organi della città, per Walther Ruttmann erano rappresentati dalle persone, dalle macchine, dalle luci, dalla velocità, soggetti che, nel film, divennero anche elementi ritmici, musicali e di contrappunto, nella sinfonia scandita dalla musica di Edmund Meisel.

E così “Berlino, la sinfonia della grande città” riesce ad incarnare lucidamente i sentimenti di fiducia e speranza legate al trionfo della tecnologia, sentimenti che segnarono l’inizio del Novecento, ma soprattutto traduce, in alcune scene di autentica umanità, un profondo affetto nei confronti di chi la città la vive, la popola, la rende vera, una sorta di solidarietà verso la vera anima della città, l’uomo.


venerdì 21 maggio 2010

OSCAR TORIBIO SOSA

OSCAR TORIBIO SOSA
Tra Argentina e Italia
“Sono uno straniero in Italia e, come per tutti gli stranieri, un mistero ci avvolge: non si sa da dove veniamo e non si sa cosa abbiamo fatto nel nostro passato”.
Ha esordito così, giovedì 20 maggio, Oscar Toribio Sosa, l’architetto argentino che, nel corso della serata, ha provato a svelare quel “mistero” e quella curiosità che lo accompagnano -in quanto architetto argentino in Italia- e a spiegare l’ardua ricerca che ha dovuto compiere nel corso degli anni per trovare la sua identità.

Una ricerca per nulla semplice, come spiega l’Architetto, “a volte ostacolata dalla mia condizione di straniero” : è stato, infatti, uno spaesamento ad accompagnare i primi periodi dell’architetto in Italia, spaesamento che, gradualmente, ha lasciato il posto ad una progressiva familiarizzazione con il contesto che lo circondava.
Il primo progetto realizzato da Sosa in Europa è stata la Casa Ferracini, a Giubiasco, in Svizzera: in questo caso il suo lavoro si stava adeguando all’identità svizzera improntata verso un' ossessiva ricerca dell’originalità. “Quello in Svizzera”, spiega l’Architetto, “è stato un passaggio fondamentale per la formazione della mia identità anche se attualmente non lo condivido”.

La ricerca di Oscar Toribio Sosa è continuata poi tra Argentina e Italia e ha percorso strade diverse, per giungere alla chiara teorizzazione di un’ idea concreta di architettura, basata sul rifiuto del concetto di architettura come arte: “l’architettura è solo un’attività di servizio” afferma Sosa, “gli edifici sono come scatole, non importa la bellezza, ma la funzionalità.”Una sorta di dichiarazione di poetica architettonica, dunque, una teoria che Sosa ha messo in pratica sia in Argentina che in Italia. Per le residenze popolari di Saronno e i complessi residenziali di Arolo di Leggiuno, così come per le case costruite a La Plata, in Argentina (Casa Haramboure, Casa Lombardi,Casa Teruggi e Gran Bell) l’approccio che guida la mano dell’architetto è sempre stato di tipo umanista, orientato a rendere le case più confortevoli attraverso una sorta di schema spesso ripetuto: la zona orientata a nord è chiusa con locali che fanno da cuscino e con poche finestre, mentre quella orientata a sud è aperta per far entrare luce e calore; gli spazi sono aperti e le soluzioni per lo più tradizionali.

Nel suo percorso, inoltre, Oscar Toribio Sosa si è dovuto confrontare con numerosi vincoli architettonici, considerandoli non tanto come ostacoli, quanto come opportunità da interpretare. E talvolta, dove i vincoli non c’erano, Sosa se li è creati da solo; è il caso del progetto per l’Hotel di Ushuaia, in Argentina, la città più a sud del mondo: il vincolo con il quale l’Architetto ha deciso di rapportarsi è stato il sole: l'idea era infatti di creare una struttura che fosse esposta alla luce per tutto l’anno, dato il clima rigido che avvolge costantemente la città.
Tra Argentina e Italia, tra numerosi studi, progetti, concorsi e realizzazioni, l’identità architettonica di Toribio Sosa si è lentamente plasmata attraverso gli ostacoli e le opportunità che gli si sono presentati nel tempo.
E se da giovane apprendista Sosa pensava all’architettura come ad un “sudoku, in cui ogni variabile può funzionare insieme alle altre con una sola soluzione”, ora, da architetto maturo, guarda all’architettura come ad un “tangram, in cui variabili differenti possono essere unite anche con molteplici soluzioni” perchè, in fondo, come egli stesso afferma concludendo la serata, “questa è la bellezza dell'architettura: riuscire a globalizzare un’infinità di variabili, giocando con esse per trovare continuamente nuove soluzioni”.


CURRICULUM VITAE
Oscar Toribio Sosa nasce a La Plata, in Argentina, nel 1953.
Si è laureato in Architettura all'Università di La Plata nel 1981, dove ha insegnato Progettazione Architettonica fino al 1990. Si è laureato al Politecnico di Milano nel 1991, dove ha svolto l’attività accademica come docente nei corsi di postgrado del Dipartimento Tecnico.
Ha partecipato alla "Bienal de Arquitectura de Buenos Aires" negli anni 1985, 1989.

E' stato scelto tra gli architetti più rappresentativi dell’America Latina per partecipare alla mostra internazionale "Architecture in Latin America" New Orleans, USA 1987. Ha fatto parte dello Studio "M.D.M. Architetti" di Lugano, Svizzera, prima di stabilire il proprio studio professionale a Laveno, Italia. In riferimento alla sua opera urbanistica ed architettonica gli viene conferito dall’ Istituto Autonomo Case Popolari ( IACP, attuale Aler) nell’anno 1994, il primo posto in graduatoria, tra settecento professionisti della Provincia di Varese, in merito “alla notevole qualità dell’architettura con particolare attenzione al disegno urbano, con delle soluzoni tipologiche che appaiono originali e innovative. Curriculum esauriente sia per la ricerca progettuale sia per la qualità professionale.”
Tra le opere di maggiore rilievo eseguite in Italia si citano: un complesso residenziale-commerciale e terziario a Renate, Milano; un edificio residenziale per anziani a Saronno, Varese; il piano urbano del traffico e l'arredo urbano della piazza di Olgiate Molgora, Lecco, diversi complessi residenziali.


Ha realizzato diversi progetti in Argentina, tra i quali l'edificio per la Telecom di Spagna, e un centro alberghiero-commerciale localizzato nella città di Ushuaia, Tierra del Fuego. Suoi progetti sono stati pubblicati in Argentina, in Svizzera ed in Italia. Ha scritto articoli riguardanti aspetti dell’architettura e della città.
La sua opera si caratterizza per una continua ricerca progettuale nel campo dell’architettura e del territorio. Il “contrasto inclusivo” è la chiave d’identificazione della sua opera, contrasto che viene concepito non come ricerca dell’inconsueto morfologico, ma come modalità di scambio con il contesto del quale apprende gli indirizzi e le suggestioni strutturali che saranno alla base della propria progettazione. Così facendo il risultato architettonico sarà innovativo pur rispettando profondamente la tradizione ed il contesto. La ricerca nel campo dell’architettura eliotermica è presente in ogni suo progetto sin dagli inizi della sua attività professionale, cioè dalla tesi di laurea fino all’ultimo progetto realizzato.

Per vedere la versione integrale del VIDEO vai al seguente link: http://www.youtube.com/user/Ordinevarese#p/c/8D4CDB2E3B7A9B0F/0/HX0M-MnixR4

lunedì 3 maggio 2010

MARIO BOTTA "PIAZZA REPUBBLICA, UNA NUOVA CENTRALITA' URBANA"

MARIO BOTTA, TRA MEMORIA E STRATIFICAZIONE
“Da qualche giorno siamo diventati un po’ più poveri”: si è aperta così, con un sentito riferimento alla triste perdita del Conte Giuseppe Panza, l’ultima delle conferenze del progetto “Diploma 2010”.
Queste sono infatti, le parole con cui il relatore della serata, l’Architetto Mario Botta, ha iniziato il suo discorso, rivolgendo il pensiero all’enorme vuoto che il grande collezionista, scomparso appena cinque giorni prima della conferenza, ha lasciato nel mondo dell’arte e nel cuore di chi, come lui, lo conosceva personalmente.

“Tutta la serata sarà dedicata a lui”, ha continuato Botta, una serata incentrata sui progetti che gli studenti dell’Accademia di Mendrisio hanno ideato reinterpretando Piazza Repubblica, un contesto che, secondo l’Architetto, risulta molto interessante data la sua continuità con il centro storico e la molteplicità di aspetti che si legano a questo luogo. Dare agli studenti questo contesto significa infatti, come ha spiegato Botta, riflettere su alcuni punti molto importanti, come il rapporto tra città e collina, il completamento di quartieri che attualmente si presentano in maniera frammentata e la ricerca di un significato forte per un vuoto che si presenta ora come elemento di convergenza tra diverse strade.

Molti input, dunque, per gli studenti che, dopo aver realizzato un enorme plastico della città, hanno ideato proposte diverse, alcune orientate a consolidare gli elementi significativi della zona, altri rivolti alla realizzazione di una grande area verde, altri ancora basati sulla trasformazione di questo luogo come collegamento per raggiungere il lago.

Ad unire tutti i progetti, un leitmotiv, ovvero la stratificazione della città poiché “la città deve crescere su se stessa e ogni ragazzo dovrà porre i suoi limiti”.
E in fondo, la stratificazione, ed in particolare la storia, è un tema che Botta, da sempre, ama affrontare attraverso la sua architettura, come ha spiegato, durante la conferenza, a proposito del Centro Pastorale “Papa Giovanni” di Seriate da lui progettato: l’edificio, con base quadrata, quattro particolarissimi lucernari e due absidi è, all’interno, completamente rivestito di foglia oro, proprio per “riproporre una cultura millenaria che stiamo perdendo”. Anche con il grande intervento di ristrutturazione realizzato al Teatro Alla Scala di Milano, Mario Botta si è concentrato su come il linguaggio architettonico del XX secolo possa ancora essere parte della stratificazione di una storia millenaria com'è, appunto, quella di Milano. La serata è proseguita con la spiegazione da parte di Mario Botta dei grandiosi edifici da lui progettati, come il Centro Wellness di Arosa, il Museo per le Culture Tradizionali di Seoul, la Chiesa del Santo Volto di Torino.
Ma la vera protagonista della serata è stata la memoria, perché, come ha voluto concludere l’Architetto Mario Botta, “la memoria dovrebbe essere continuamente sollecitata” per scongiurare “il dramma dell’oblio, verso il quale la rapidità delle trasformazioni rischia di condurre l’umanità”.

CURRICULUM VITAE
Nato il 1 aprile 1943 a Mendrisio, Ticino. Dopo un periodo d’apprendistato presso lo studio degli architetti Carloni e Camenisch a Lugano, frequenta il liceo artistico di Milano e prosegue i suoi studi all'Istituto Universitario d'Architettura di Venezia, dove si laurea nel 1969 con i relatori Carlo Scarpa e Giuseppe Mazzariol. Durante il periodo trascorso a Venezia, ha occasione di incontrare e lavorare per Le Corbusier e Louis I. Kahn.La sua attività professionale inizia nel 1970 a Lugano. Realizza le prime case unifamiliari nel Canton Ticino e successivamente numerosi progetti in tutto il mondo.Da sempre impegnato in un’intensa attività didattica, nel corso degli ultimi anni si è attivato come ideatore e fondatore dell’Accademia di architettura di Mendrisio
Il suo lavoro è stato premiato con importanti riconoscimenti internazionali tra i quali il Merit Award for Excellence in Design by the AIA per il museo d'arte moderna a San Francisco, l’ IAA Annual Prix 2005, International Academy of Architecture di Sofia per la torre Kyobo a Seul, l’International Architecture Award del Chicago Athenaeum Museum of Architecture and Design e lo “European Union Prize for Cultural Heritage Europa Nostra” per la ristrutturazione del Teatro La Scala di Milano. Numerose sono le mostre dedicate alla sua ricerca.
Tra le realizzazioni vanno ricordate: il teatro e casa per la cultura a Chambéry; la galleria d’arte Watari-um a Tokio; la mediateca a Villeurbanne; il SFMOMA museo d’arte moderna a San Francisco; la cattedrale della resurrezione a Evry; il museo Jean Tinguely a Basilea; la sinagoga Cymbalista e centro dell’eredità a Tel Aviv; la biblioteca municipale a Dortmund; il centro Dürrenmatt a Neuchâtel; il MART museo d’arte moderna e contemporanea a Rovereto; la torre Kyobo a Seoul; gli edifici amministrativi Tata CS a Nuova Delhi e Hydrabad; il museo Fondazione Bodmer a Cologny; il centro pastorale Giovanni XXIII a Seriate e la biblioteca a Bergamo; la ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano, la chiesa del Santo Volto a Torino e il centro wellness ad Arosa.
Tra le opere in corso meritano di essere annoverati il nuovo casinò di Campione d’Italia, il complesso per uffici e residenze a Treviso, la biblioteca universitaria di Trento, il museo d’arte Bechtler a Charlotte, la galleria e museo d’arte della Tsinghua University in Beijing, gli uffici Leeum a Seoul, le stazioni della metropolitana di Napoli, il nuovo auditorio di Rimini, il museo dell’architettura a Mendrisio.


Per vedere la versione integrale del video, vai al seguente link:
http://www.youtube.com/user/Ordinevarese#p/c/953CC2731093F97E/0/rAb5Dgzu4z8

"ROY LICHTENSTEIN: MEDITATIONS ON ART": VISITA GUIDATA E APERITIVO

UN GIOVEDI’ SERA IN TRIENNALE
Lo scorso 29 aprile, più di sessanta persone, architetti e non, hanno trascorso una piacevole serata, organizzata dall'Ordine Architetti di Varese, all’insegna dell’arte e della spensieratezza: dopo un sostanzioso aperitivo nella cornice suggestiva del parco retrostante al Museo della Triennale, in un’atmosfera creativa e primaverile, resa ancor più allettante dalle curiose opere sparse nel parco, i due gruppi si sono preparati a seguire la visita guidata alla mostra intitolata “Roy Lichtenstein: Meditations on Art”, inaugurata lunedì 25 gennaio e aperta fino al 30 maggio.
Una retrospettiva, questa, del tutto particolare, data l’assenza del ciclo di opere per cui l’artista americano diventò famoso, i lavori dedicati alla riproduzione di fumetti. Non per questo, però, la mostra risulta meno interessante, ma offre anzi un punto di vista diverso, una lettura inusuale dell’opera del grande artista pop. La mostra, infatti, si concentra sul lungo lavoro di rifacimento dei grandi “classici” dell’arte, capolavori di Picasso, di Balla, Dalì, Monet, Carrà, a cui Roy Lichtenstein, per quasi cinquant’anni, si dedicò, anticipando il concetto di appropriazione e citazione del postmodernismo.
Dai quadri raffiguranti cow boy in stile cubista, passando alle nature morte tra cui risalta la rivisitazione de “I pesci rossi” di Matisse (creata anche sotto forma di scultura), fino a giungere alle reinterpretazioni dell’Espressionismo tedesco, del Futurismo e del Surrealismo, la mostra ben illustra come Roy Lichtenstein abbia riletto le opere dei più grandi artisti dell’arte moderna attraverso la sua particolarissima tecnica, ripresa dai fumetti. Per realizzare tutte le sue opere, infatti, l’artista seguiva un metodo complesso: dopo aver fatto un disegno a matita e aver definito la composizione e i colori, lo fotografava e poi proiettava, ingrandendolo sulla tela, dove procedeva colorando l’immagine attraverso nastri adesivi, mascherine, stencil e griglie metalliche per fare i puntini.
In questo modo, attingendo cioè al vocabolario della produzione visiva di massa, Roy Lichtenstein semplificava ogni immagine a tal punto da azzerare la componente emotiva del quadro per far prevalere un’attitudine del tutto oggettiva, rapida e sintetica.
Una serata curiosa, quella che gli architetti hanno trascorso in Triennale, un’esperienza intensa che, oltre ad aver permesso loro di conoscere direttamente le opere dell’artista americano, ha creato un’ottima occasione per compiere un percorso a ritroso dentro quasi un secolo di storia dell'arte, attraverso i capolavori che Roy Lichtenstien, attraverso il suo occhio e la sua mano, ci ha trasmesso e “regalato”.

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